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Montaquila – Sagra della Frittata 1024 802 Molise Eccellenze

Montaquila – Sagra della Frittata

La valle del Volturno – il fiume più lungo del sud Italia n.d.r – è ricchissima di storia, natura e anche dal punto di vista della gastronomia. Uno dei piatti tipici è la frittata. All’apparenza semplice, tutti ci siamo cimentati almeno una volta nella sua preparazione. In quest’angolo di paradiso, però, ha raggiunto livelli di eccellenza.

Tipica del periodo pasquale viene comunque preparata durante tutto l’anno, con una particolarità però: “sotto le cento uova non chiamatela frittata” si dice in zona. Ebbene sì, un mega frittatone pronto a sfamare intere famiglie.

Il centro però che l’ha portata ad un livello nettamente superiore è Montaquila; posto su un’altura a dominio proprio del fiume, insieme alla frazione di Roccaravindola cela piccoli gioielli, dai resti del castello al primo affresco mai realizzato ritraente uno zampognaro. Tra le tradizioni, invece, menzione d’onore è per la frittata, anzi, la sagra della frittata.

Tale manifestazione, che si ripete con cadenza annuale in primavera, oltre al folklore, la musica ed eventi collaterali mette al centro proprio la frittata…e che frittata!

Ogni anno se ne realizza una più grande, con più uova. Al momento il record è di 1651 realizzata nel 2019. Poi due anni di stop causa pandemia e nel 2022 si torna più forti che mai con una preparazione da ben 1782 uova (se 1651 non vi fossero bastate). Un numero impressionante ma anche simbolico: nel 1782 infatti un avvenimento: gli abitanti ricostruirono, con il proprio lavoro, il campanile della chiesa di Santa Maria Assunta, elemento poi diventato caratterizzante di tutto l’abitato.

Una sagra solo di nome, come da motto del 2022; la frittata di Montaquila negli anni ha infatti riscosso notevoli successi e attirato l’attenzione da varie parti fino alla codifica dall’Accademia Italiana della Cucina e la sua registrazione con il marchio De.Co avvenuta il 25 giugno 2019.

Credit foto: turismoinmolise
Agnone – La ‘Ndocciata 1024 683 Molise Eccellenze

Agnone – La ‘Ndocciata

Nel verde incontaminato dei boschi dell’alto Molise sorge Agnone, paese più grande di questa zona e tra i più rilevanti dell’intera Regione. Sorto su una collina domina la vallata che lo divide dal vicino Abruzzo e che permette di ammirare panorami incantevoli.

Ricco di chiese ed opere d’arte ha la caratteristica di avere un quartiere cosiddetto “veneziano” in quanto, nell’XI secolo, il condottiero Landolfo Borrello tornò in paese, dopo aver prestato servizio per la Serenissima, portando con sé diverse famiglie che qui resero il quartiere simile alle strade di Venezia oltre a dar il via alla lavorazione dell’oro, del rame e del ferro.

Numerose sono dunque le eccellenze del comune ma una spicca sulle altre: è la ‘Ndocciata, il più grande rito del fuoco al mondo. Risalente pare addirittura ai Sanniti, rievoca gli abitanti delle contrade che la notte di Natale salivano in paese per assistere alla messa di mezzanotte e che, per illuminare il percorso, utilizzavano le “’ndocce”, ovvero torce realizzate con legno di abete e fasci di ginestre.

Immaginate le campagne “tingersi” di rosso, un fiume di fuoco spinto dalla sola fede. E questo fiume continua tutt’oggi. Alla tradizionale sfilata del 24 dicembre se ne è aggiunta una anche per i turisti, la sera dell’8 dicembre affinché più persone possano prendervi parte.

La processione parte con i bambini che portato delle piccole n’docce fino ad arrivare all’ultima composta anche da più di venti; un peso considerevole, ma che per fede e tradizione si porta con gioia ed orgoglio. Al termine tutte le ‘ndocce vengono ammucchiate nel grande e caloroso “falò della fratellanza”.

Il calore, il crepitìo, la commozione e la passione riempiono il cuore e non possono lasciare indifferenti; soprattutto se, per i più coraggiosi, ci si riporta a casa anche tanto fumo e qualche abito sbruciacchiato.

Credit foto: turismoinmolise
I Fucilieri di San Giuliano del Sannio 831 1024 Molise Eccellenze

I Fucilieri di San Giuliano del Sannio

L’odore della polvere da sparo si propaga nell’aria, e diventa più intenso man mano che i Fucilieri di San Nicola avanzano verso la sacra statua per proteggerla. Questa è la scena che, ogni 9 maggio, si ripete a San Giuliano del Sannio (CB), in occasione della festa patronale in onore di San Nicola.

La Storia

La leggenda racconta che la Statua di San Nicola si trova a San Giuliano perché i buoi che la trainavano in direzione Bari, quando arrivarono nel paese molisano, si fermarono e non vollero più rimettersi in cammino. Ciò fu interpretato dalla popolazione del luogo come un messaggio divino: il Santo aveva deciso di restare in quella terra. A questo punto, la leggenda intraprende due strade: la prima narra che, in segno di festa per quanto accaduto, vennero fatti esplodere dei colpi di fucile; la seconda, racconta che i colpi di fucile furono necessari contro chi voleva far continuare il cammino della Statua. Nel tempo, il numero dei Fucilieri è aumentato sempre più fino a quando nel 1995 è nata l’Associazione “I Fucilieri di San Nicola”, al fine di regolamentare l’uso delle armi. Attualmente, l’Associazione conta circa 60 Fucilieri attivi di diverse età e provenienze. Sono diversi, infatti, i casi di sangiulianesi emigrati che, in occasione della festa, tornano per offrire “protezione al Santo”.

Credit foto: Lollo De Gregorio
Il 1° maggio in Molise 683 1024 Molise Eccellenze

Il 1° maggio in Molise

Fiori, colori, odori. Raggi tiepidi, cielo limpido, clima sereno. Le passeggiate, il sapore del gelato, l’attesa dell’estate. A volte, arriva in fretta; a volte, si fa attendere; a volte, esplode e, poi, fa un passo indietro. La primavera è così: un arcobaleno infinito, che merita di essere festeggiato. E, infatti, sono numerosi in tutto il mondo (anche in Molise) i riti per celebrare il momento dell’anno dedicato alla rinascita della natura. Tra queste, la Festa del Maja di Acquaviva Collecroce (CB) e la Pagliara Maje Maje di Fossalto (CB).

La Festa del Maja

Nel borgo di circa 600 anime, dalle ore 9.00 del 1° maggio, la popolazione celebra la primavera con il Maj: una struttura a cono con caratteri antropomorfi, ricoperta di fiori di campo ed erbe.

A trasportala, per le strade del paese, un uomo infilato al suo interno, che viene seguito da una folla festosa. La tradizione può vantare un’origine molto antica e un’autentica discendenza slava. Il Maj, infatti, è presente in gran parte delle popolazioni slave con il nome di Zeleni Juraj (Verde Giorgio). Ad accreditare questa tesi, la storia del borgo dove, tra il XV e XVI secolo, si insediarono delle popolazioni slave in fuga dal predominio turco, che andava estendendosi nei Balcani. In conseguenza di ciò, inoltre, il paese è diventato a minoranza linguistica croata, il cui idioma parlato è lo Stocavo – Icavo, che veniva utilizzato 5 secoli fa in alcune zone della costa Croata. Accompagnando il Maj tra le vie del borgo antico, è possibile immergersi in un’atmosfera del tutto particolare, dominata dalla magia cavalleresca del medioevo.

Pagliara Maje Maje

La Pagliara Maje Maje è una struttura in rete metallica a forma di cono, adornata con erbe e fiori, colti da alcuni volontari il pomeriggio del 30 aprile. Ad animarla è un portatore che, accompagnato da suoni e canti popolari, attraversa le strade del paese, dove dai balconi o dalle finestre vengono versati dei getti d’acqua: un gesto per augurare abbondanti piogge e, dunque, raccolti generosi. Ecco, se non avete mai visitato Fossalto, il giorno più adatto è proprio quello del 1° maggio, quando il profumo dei lillà e le fresche foglie di olmo inebriano tutto il paese, creando una dolce magia. Sarebbe un’ottima occasione anche per assaporare la Lessima, una zuppa di legumi e cerali tipica molisana e in particolar modo di Fossalto, offerta ai turisti dopo che la Pagliara ha terminato il suo percorso.

Credit foto: turismoinmolise
La Pasqua dei molisani 1024 513 Molise Eccellenze

La Pasqua dei molisani

Non solo colombe e uova di cioccolato a volontà, ma anche tradizioni ancorate nei cuori e radicate nelle anime dei molisani; alcune, delle vere e proprie rappresentazioni scenografiche, che richiamano spettatori da ogni parte d’Italia, credenti e non. Si tratta, spesso, di rituali antichissimi che affondano le radici nel Medioevo se non, addirittura, nei lontani culti pagani; il tutto a rendere la Settimana Santa molisana un emozionante evento da non perdere. Andiamo a scoprirne qualcuna.

La processione del Venerdì Santo a Campobasso

Solenne, forte, struggente. La processione del Venerdì Santo è l’evento religioso che commuove più di ogni altro i campobassani, soprattutto grazie alla sensazionale potenza della musica: è proprio questa, infatti, la nota distintiva del corteo campobassano, vale a dire la presenza di un coro in nero composto da circa settecento elementi, uomini e donne: tenori, baritoni, soprani e contralti che realizzano un’unica voce, calda, vigorosa, il tutto accompagnato dalla banda, con il forte impatto degli strumenti a percussione, in grado di paralizzare orecchie e cuori di ogni spettatore. Ad essere intonato è il “Teco Vorrei, o Signore”, un vero e proprio inno, al cui ascolto te siente stregne ngann ra lu chiant (ti senti stringere in gola dal pianto), come diceva Nina Guerrizio, poetessa campobassana. E questo sottofondo accompagna la statua dell’Addolorata, che segue quella del Cristo morto, mentre il corteo si snoda prima nel centro storico e poi nella parte moderna della città. Uno dei momenti più suggestivi è, sicuramente, la sosta al carcere: al calar della sera, un detenuto recita una toccante preghiera al cospetto di Gesù morto e della Madre piangente. Infine la processione si scioglie con le due statue che fanno rientro nella loro casa, la Chiesa di Santa Maria della Croce, dove vengono custodite per tutto l’anno.

Gli Incappucciati: il Venerdì Santo a Isernia

Lugubre e affascinante, la processione del Venerdì Santo di Isernia è capace di creare la magia di un vero e proprio scenario medievale, attraverso la presenza degli Incappucciati, caratteristica principale della processione: si tratta di fedeli a capo coperto che trasportano le statue della Mater Dolorosa e del Cristo Morto, insieme ai busti degli Ecce Homo, le Croci Calvario e le Croci della Via Crucis. Il cappuccio, che copre rigorosamente tutto il volto, lasciando soltanto gli occhi al di fuori, serve a tenere segreta l’identità di chi compie quello che rappresenta un vero e proprio atto penitenziale; l’unico segno di riconoscimento è la mozzetta, una mantellina che va sulla tunica, e che ha un colore diverso per ogni confraternita della città, di cui i penitenti fanno parte; a suggello del cammino di espiazione, infatti, una corona di spine a cingere il capo dei figuranti e molti che lo percorrono a piedi nudi). Il tutto in un’atmosfera suggestiva e rigorosamente notturna, avvolta in un silenzio spezzato soltanto dai canti funebri intonati dai fedeli, che seguono l’intero percorso recitando preghiere ed invocazioni sacre.

La Pupatta della Quaresima

Il bello delle tradizioni sta proprio nel loro rinnovarsi ininterrotto di generazione in generazione, anche soltanto attraverso il ricordo. Quella della Pupatta della Quaresima è la storia di un’usanza ormai portata avanti da qualche anziano, in ricordo di tempi antichi e frugali, quando tra persone è tradizioni c’era ancora un legame carnale. Fino a qualche tempo fa in Molise si usava allestire la Pupatta della Quaresima, vale a dire l’abbozzo di una vecchietta vestita con un panno nero che, alla base della gonna, portava appesi in cerchio tutti gli alimenti consentiti durante il periodo quaresimale: pannocchie, aringhe, aglio, pasta, baccalà, ovviamente da cuocersi nella maniera più semplice possibile. Vi era anche una patata o una cipolla a cui venivano conficcate sette penne di gallina, corrispondenti alle sei domeniche di quaresima e al Sabato Santo, giorno di interruzione del digiuno tradizionale; ognuna di queste penne di sfilava il venerdì dopo le funzioni religiose: ed è così che la pupatta assumeva la funzione di calendario. L’ultima penna veniva tolta il Sabato Santo, a mezzogiorno, quando le campane annunciavano la resurrezione. Nelle mani della vecchietta, un fuso e una cannocchia, simbolo della pazienza, ma anche del tempo che passa. La pupatta veniva solitamente appesa al camino, specialmente negli ambienti più popolari e di campagna, dove si faceva colazione spesso strofinando il pane all’aringa penzolante dalla pupotta. Oggi l’aringa viene appesa ai balconi, specie da chi non possiede un caminetto.

La Pasqua enogastronomica dei molisani 1024 769 Molise Eccellenze

La Pasqua enogastronomica dei molisani

A Natale con i tuoi, a Pasqua con chi vuoi! Ma sempre nel rispetto della tradizione, soprattutto quella enogastronomica. E in Molise, la festa della Resurrezione è davvero un piacere per il palato. Infatti, sono tanti i piatti tipici che vengono preparati con cura a partire da diversi giorni prima del Triduo pasquale. Andiamo a scoprirne 4.

Agnello, cacio e uovo

Si tratta di un piatto che esprime a pieno lo spirito della Pasqua: l’agnello rappresenta il sacrificio di Gesù nel farsi crocifiggere per salvare l’umanità; l’uovo, invece, indica la vita, ossia la Resurrezione. Il suo significato rende questo spezzatino di agnello, arricchito con uova sbattute e pecorino grattugiato, un piatto immancabile in molte tavole molisane.

Frittatona di Pasqua

In Molise è possibile anche realizzare frittate di 100 uova! Sì, avete letto bene. Nella lista dei piatti tipici pasquali molisani, c’è anche la Frittatona da preparare il pomeriggio del Sabato Santo e consumare il giorno di Pasqua. Si tratta di un’usanza diffusa in molti paesi del Molise, anche se, ogni comune adotta delle piccole varianti per quanto riguarda gli ingredienti da adoperare. In genere, non mancano i fegatelli di agnello e il pecorino, ma, in alternativa, è possibile utilizzare la salsiccia tagliata a cubetti e il parmigiano. Il piatto, simbolo di ricchezza familiare e generosità, è anche protagonista di una sagra che si svolge a Montaquila il 30 aprile e il 1° maggio.

Fiadoni salati e dolci

I Fiadoni – detti anche Casciatelli – sono davvero un must della Pasqua enogastronomica molisana. Si tratta di piccoli panzerotti ripieni di uova e formaggio oppure, nella versione dolce, di ricotta.

La pigna

La Pigna, simbolo della morte e Resurrezione di Gesù, è forse il dolce più tipico della tradizione pasquale molisana. È una sorta di panettone a lievitazione lenta, generalmente aromatizzato all’anice e ricoperto da una glassa di zucchero. A differenziare la Pigna molisana dalle altre del centro-sud Italia è l’aggiunta di patate lesse, che rendono l’impasto più soffice.

Festa di San Giuseppe a Riccia 1024 576 Molise Eccellenze

Festa di San Giuseppe a Riccia

LE ORIGINI

La tradizione nasce da una leggenda che, ancora oggi, viene tramandata di generazione in generazione: un uomo anziano e povero girava tra i paesi chiedendo ristoro, ma solo a Riccia venne aiutato. Ad aprirgli le porte un uomo che, seppure non benestante, divise con il poveretto il poco cibo a disposizione, perlopiù legumi. Il popolo riccese riconobbe nel viandante il falegname di Nazareth, dando così inizio alla tradizione del 19 marzo.

IL RITO

Dopo la processione in onore di San Giuseppe, il rito è affidato alla spontaneità delle singole famiglie che provvedono ad invitare a pranzo tre persone: un uomo sposato (San Giuseppe), una donna celibe o nubile (la Madonna) e un giovane non sposato (il Bambino Gesù). Prima di iniziare il pranzo, che prevede dalle 13 alle 19 portate, vengono recitate alcune preghiere e viene condiviso tra i commensali il primo bicchiere di vino ed il primo pezzo di pane. A seguire inizia il pranzo a base di alimenti tipici della cucina tradizionale: dai legumi al baccalà per concludere con i dolci. Terminato il lungo banchetto, che si protrae fino al pomeriggio, i commensali recitano di nuovo le preghiere e viene offerto alla Sacra Famiglia un cesto composto da una pagnotta di pane, un assaggio delle pietanze servite e un numero dispari di cavezune (calzoni), i dolci tipici della Festa di San Giuseppe.

Dunque, un appuntamento ricco di preghiera e tradizione che, soprattutto in passato, richiamava l’attenzione non solo dei residenti, ma anche di molti turisti che aspettavano l’occasione della festa per bussare di casa in casa per riempire il proprio sacco di ogni offerta ricevuta.

RITUALE DELL’UOMO CERVO 1024 683 Molise Eccellenze

RITUALE DELL’UOMO CERVO

Carnevale di Castelnuovo al Volturno: alla scoperta del rituale dell’uomo cervo

Semel in anno licet insanire: una volta all’anno è lecito fare pazzie. È così che recita una nota sentenza, attribuita a Seneca. E quando, se non a Carnevale, è permesso tirar fuori quella radice ancestrale e tracotante dell’essere umano, quel puro istinto che appartiene alla profonda natura animalesca dell’uomo? Quella che rappresenta, in fondo, la conditio sine qua non della rinascita, del trionfo dell’ordine sul caos. D’altronde, è questa la vera essenza del Carnevale: attraversare la perdizione, per poi risorgere. La natura ha bisogno di morire, per rinascere, poi, a primavera. Ed è così che, dai tempi in cui mito, leggenda e realtà si confondono, il passaggio da una stagione all’altra viene sancito con un rituale apotropaico.

Immaginiamo, ora, di essere a Castelnuovo al Volturno, frazione di Rocchetta a Volturno, incantevole zona della provincia di Isernia. È l’ultima domenica di Carnevale e, la cornice crepuscolare del tramonto che avvolge l’unica piazza presente, le case e i monti delle Mainarde in un unico e suggestivo dipinto, offre lo scenario per un rituale carnevalesco tutto molisano: il rito dell’Uomo Cervo, “Gl’ Cierv” per la precisione. Il tintinnio ridondante dei campanacci, suonati dalle Janare in arrivo, lascia presagire a centinaia di spettatori trepidanti di attesa che qualcosa di magico si sta per compiere. E, poi, ecco gli Zampognari. Trambusto, grida ossesse e bramiti annunciano l’arrivo impetuoso dell’Uomo Cervo, la bestia, “Gl’ Cierv”; i suoi attributi sono quelli tipici dell’universo ferino, nella sua dimensione tutta pre-umana (e pre-umanizzata): vestito di pelli e sulla testa grandi corna ramificate. Inchiostro nero sul volto e campanacci sul petto, esso è il simbolo dell’inverno, della fame, del freddo, della mendicanza, la figurazione della parte più buia dell’animo umano, dell’irragionevole, della travolgente tendenza autodistruttrice. In preda ad una furia indomabile, crea scompiglio nella piazza, urlando e dimenandosi con violenza selvaggia. Nemmeno le movenze più aggraziate della bianca Cerva, la sua compagna, riescono a placarlo.

Come ogni mito comanda, è necessario un eroe civilizzatore: ed ecco Mago Martino, misterioso personaggio venuto dalla montagna, l’incarnazione del Bene chiamato a domare il Male: le bestie, adesso, sono state soggiogate. Ma non è sufficiente: il Male torna a vincere, perché i cervi riescono a divincolarsi e a seminare panico ancora una volta. Soltanto il definitivo intervento del Cacciatore, colui che incarna il trionfo della giustizia sulla tracotanza, riesce a frenare le forze disgregatrici: le bestie sono a terra, ferite dal colpo esiziale dell’arma da fuoco. Tuttavia, se è vero che la vita offre sempre una seconda possibilità, vien da sé che non tutto è stato ancora compiuto: il Cacciatore soffia “un alito di vita” nelle orecchie dei due animali ed essi si rianimano. Una possibilità di redenzione, una nuova vita lontana dalle asprezze degli istinti, dalla contaminazione. Gli animali, ora, sono liberi di correre verso le montagne, verso la natura incontaminata e rigenerati da un afflato di umanità. L’inverno è giunto al termine, torna la Primavera e, con essa, il rigoglio della Vita.

Credit foto: turismoinmolise
Viaggio nelle tradizioni del Carnevale in Molise 1024 538 Molise Eccellenze

Viaggio nelle tradizioni del Carnevale in Molise

A Carnevale ogni scherzo vale e, si può aggiungere, ogni tradizione bisogna rispettare: dai dolci tipici ai riti antichi, l’Italia ne è piena e il Molise non manca di dare il suo contributo. Esempi sono i comuni di Tufara, Jelsi e Larino che, tra celebrazioni antiche e spettacoli goliardici, ospitano alcuni degli eventi più rappresentativi del Carnevale molisano, tanto da attirare ogni anno l’attenzione di migliaia di turisti.

Il Diavolo di Tufara

Se ti trovi a Tufara (CB) il Martedì Grasso potresti imbatterti nel diavolo in persona: coperto da sette pelli di capro e con un tridente tra le mani come scudo, sbuca all’improvviso tra le strade del paese, incutendo timore ad ogni passante. Nemmeno le catene dei Folletti, vestiti di nero, riescono a fermare la sua danza scalmanata. Ma, alla fine, la Morte, impersonificata da uomo dal volto bianco con una falce tra le mani, riesce ad avere la meglio, trionfando sul caos (U Pisciatur) e sul Carnevale, rappresentato da un fantoccio, che viene lanciato dal castello longobardo, dopo essere stato infilzato dal Diavolo.

L’Uomo Orso di Jelsi

Sbuca, all’improvviso, dai boschi con fare minaccioso ma, a differenza del Diavolo di Tufara, non riesce ad avere la meglio: l’animale, tra urla spaventose, viene catturato da un “domatore” che, attraverso delle robuste catene, lo trascina tra le strade di Jelsi (CB) e lo costringe a danzare al grido di “Orso a posto! Orso olè! Balla orso!”. Ad accompagnarlo alcuni attori e cantanti che, in rima, narrano la sua vicenda, fungendo da colonna sonora. Questo rito antico, come quello di Tufara, ricorda le primordiali cerimonie invernali legate alla fertilità, con la speranza di abbondanti raccolti.

I Carri di Larino

La sfilata dei Carri allegorici di Larino (CB) rientra tra i 27 Carnevali Storici d’Italia e, d’altronde, non poteva essere altrimenti: in vita dal 1957, la manifestazione, negli anni, è cresciuta talmente tanto da diventare una fastosa sfilata che non ha nulla da invidiare ai più noti carnevali di Cento, Putignano, Viareggio. Ad essere riprodotti sono personaggi famosi del mondo politico, artistico e sociale, accompagnati da maschere, giocolieri e ballerini che contribuiscono a rendere la manifestazione allegra e colorata. Un evento indubbiamente d’obbligo per chi a Carnevale ama trascorrere delle ore di vitalità.

Credit foto: turismoinmolise