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RITUALE DELL’UOMO CERVO 1024 683 Molise Eccellenze

RITUALE DELL’UOMO CERVO

Carnevale di Castelnuovo al Volturno: alla scoperta del rituale dell’uomo cervo

Semel in anno licet insanire: una volta all’anno è lecito fare pazzie. È così che recita una nota sentenza, attribuita a Seneca. E quando, se non a Carnevale, è permesso tirar fuori quella radice ancestrale e tracotante dell’essere umano, quel puro istinto che appartiene alla profonda natura animalesca dell’uomo? Quella che rappresenta, in fondo, la conditio sine qua non della rinascita, del trionfo dell’ordine sul caos. D’altronde, è questa la vera essenza del Carnevale: attraversare la perdizione, per poi risorgere. La natura ha bisogno di morire, per rinascere, poi, a primavera. Ed è così che, dai tempi in cui mito, leggenda e realtà si confondono, il passaggio da una stagione all’altra viene sancito con un rituale apotropaico.

Immaginiamo, ora, di essere a Castelnuovo al Volturno, frazione di Rocchetta a Volturno, incantevole zona della provincia di Isernia. È l’ultima domenica di Carnevale e, la cornice crepuscolare del tramonto che avvolge l’unica piazza presente, le case e i monti delle Mainarde in un unico e suggestivo dipinto, offre lo scenario per un rituale carnevalesco tutto molisano: il rito dell’Uomo Cervo, “Gl’ Cierv” per la precisione. Il tintinnio ridondante dei campanacci, suonati dalle Janare in arrivo, lascia presagire a centinaia di spettatori trepidanti di attesa che qualcosa di magico si sta per compiere. E, poi, ecco gli Zampognari. Trambusto, grida ossesse e bramiti annunciano l’arrivo impetuoso dell’Uomo Cervo, la bestia, “Gl’ Cierv”; i suoi attributi sono quelli tipici dell’universo ferino, nella sua dimensione tutta pre-umana (e pre-umanizzata): vestito di pelli e sulla testa grandi corna ramificate. Inchiostro nero sul volto e campanacci sul petto, esso è il simbolo dell’inverno, della fame, del freddo, della mendicanza, la figurazione della parte più buia dell’animo umano, dell’irragionevole, della travolgente tendenza autodistruttrice. In preda ad una furia indomabile, crea scompiglio nella piazza, urlando e dimenandosi con violenza selvaggia. Nemmeno le movenze più aggraziate della bianca Cerva, la sua compagna, riescono a placarlo.

Come ogni mito comanda, è necessario un eroe civilizzatore: ed ecco Mago Martino, misterioso personaggio venuto dalla montagna, l’incarnazione del Bene chiamato a domare il Male: le bestie, adesso, sono state soggiogate. Ma non è sufficiente: il Male torna a vincere, perché i cervi riescono a divincolarsi e a seminare panico ancora una volta. Soltanto il definitivo intervento del Cacciatore, colui che incarna il trionfo della giustizia sulla tracotanza, riesce a frenare le forze disgregatrici: le bestie sono a terra, ferite dal colpo esiziale dell’arma da fuoco. Tuttavia, se è vero che la vita offre sempre una seconda possibilità, vien da sé che non tutto è stato ancora compiuto: il Cacciatore soffia “un alito di vita” nelle orecchie dei due animali ed essi si rianimano. Una possibilità di redenzione, una nuova vita lontana dalle asprezze degli istinti, dalla contaminazione. Gli animali, ora, sono liberi di correre verso le montagne, verso la natura incontaminata e rigenerati da un afflato di umanità. L’inverno è giunto al termine, torna la Primavera e, con essa, il rigoglio della Vita.

Credit foto: turismoinmolise
Viaggio nelle tradizioni del Carnevale in Molise 1024 538 Molise Eccellenze

Viaggio nelle tradizioni del Carnevale in Molise

A Carnevale ogni scherzo vale e, si può aggiungere, ogni tradizione bisogna rispettare: dai dolci tipici ai riti antichi, l’Italia ne è piena e il Molise non manca di dare il suo contributo. Esempi sono i comuni di Tufara, Jelsi e Larino che, tra celebrazioni antiche e spettacoli goliardici, ospitano alcuni degli eventi più rappresentativi del Carnevale molisano, tanto da attirare ogni anno l’attenzione di migliaia di turisti.

Il Diavolo di Tufara

Se ti trovi a Tufara (CB) il Martedì Grasso potresti imbatterti nel diavolo in persona: coperto da sette pelli di capro e con un tridente tra le mani come scudo, sbuca all’improvviso tra le strade del paese, incutendo timore ad ogni passante. Nemmeno le catene dei Folletti, vestiti di nero, riescono a fermare la sua danza scalmanata. Ma, alla fine, la Morte, impersonificata da uomo dal volto bianco con una falce tra le mani, riesce ad avere la meglio, trionfando sul caos (U Pisciatur) e sul Carnevale, rappresentato da un fantoccio, che viene lanciato dal castello longobardo, dopo essere stato infilzato dal Diavolo.

L’Uomo Orso di Jelsi

Sbuca, all’improvviso, dai boschi con fare minaccioso ma, a differenza del Diavolo di Tufara, non riesce ad avere la meglio: l’animale, tra urla spaventose, viene catturato da un “domatore” che, attraverso delle robuste catene, lo trascina tra le strade di Jelsi (CB) e lo costringe a danzare al grido di “Orso a posto! Orso olè! Balla orso!”. Ad accompagnarlo alcuni attori e cantanti che, in rima, narrano la sua vicenda, fungendo da colonna sonora. Questo rito antico, come quello di Tufara, ricorda le primordiali cerimonie invernali legate alla fertilità, con la speranza di abbondanti raccolti.

I Carri di Larino

La sfilata dei Carri allegorici di Larino (CB) rientra tra i 27 Carnevali Storici d’Italia e, d’altronde, non poteva essere altrimenti: in vita dal 1957, la manifestazione, negli anni, è cresciuta talmente tanto da diventare una fastosa sfilata che non ha nulla da invidiare ai più noti carnevali di Cento, Putignano, Viareggio. Ad essere riprodotti sono personaggi famosi del mondo politico, artistico e sociale, accompagnati da maschere, giocolieri e ballerini che contribuiscono a rendere la manifestazione allegra e colorata. Un evento indubbiamente d’obbligo per chi a Carnevale ama trascorrere delle ore di vitalità.

Credit foto: turismoinmolise